Il Rugby Monza entra in carcere Lezioni di palla ovale ai detenuti

 
Il rugby varca le porte del carcere. Due atleti del Rugby Monza sono entrati nella casa circondariale di Sanquirico per tenere lezioni di «palla ovale» ai detenuti del penitenziario che dista poche decine di metri dal campo di allenamento dei biancorossi di via Rosmini.
Alex Geddo e Francesco Motta hanno mantenuto le promesse fatte in occasione della visita degli Aironi, durante le partite di Heineken Cup e hanno gestito il primo allenamento di rugby in carcere.
L'esperienza raccontata dai due atleti, che viene pubblicata sul sito internet della società di rugby, è toccante: «Non sapevo esattamente cosa aspettarmi e mi sono lasciato stupire da tutto, anche dalle cose molto semplici, dal fatto che tutte le porte siano blindate, anche quelle degli uffici, da come si comportano le persone tra di loro, dal fatto che i detenuti avessero con noi un'educazione, come dire, quasi eccessiva - racconta Francesco - ad esempio se il pallone cade corrono a raccogliertelo ».
La vicinanza «geografica» ha favorito questo progetto: «Troppo contigui per lasciarci indifferenti», commentano dal Rugby Monza. La presenza dei due rugbisti è «ben vista» da parte dei detenuti: «Loro percepiscono la nostra presenza come qualcosa di diverso. Un detenuto mi ha detto che un allenamento con noi è un lusso perchè gli permette di correre, muoversi, fare qualcosa di diverso dall'ora d'aria», dichiara Francesco. E Alex ribadisce: «Un ragazzo ci ha detto che un allenamento di rugby lo fa sentire quasi libero».

Il lavoro di allenatore assume tutt'altro significato, se svolto dentro le mura del carcere: «Tutto in carcere ha un peso diverso, rispetto a fuori. Per esempio, se io manco ad un allenamento, so che loro perderanno l'ora d'aria, per cui anche se io avviso che non andrò, la mia assenza avrà conseguenze pesanti per i detenuti, uscire dalla cella anche solo per un'ora per loro è fondamentale. E' per questo che tutto sembra strano, niente di quello che fai quando sei dentro è leggero», racconta Francesco Motta.

La molla che, scattando, ha fatto si che si concretizzasse questo progetto ha molto a che vedere con la filosofia del rugby: «C'è il concetto si sostegno, Nel senso di dare sostegno a dei ragazzi che hanno sbagliato, loro sono così vicini a noi che non possiamo fingere che non ci siano». L'esperienza dentro le mura ha profondamente toccato i due atleti che non nascondono la tensione che ha preceduto i momenti di ingresso in carcere. E molte immagini sono rimaste scolpite nella loro memoria, come lo spazio estremamente ristretto messo a disposizione per l'ora d'aria: «Venire a fare rugby per loro è poter approfittare di uno spazio più grande dove si possa correre», commentano i rugbisti. «Nessuno dei detenuti conosceva il rugby, però hanno visto la partita dell'Italia in televisione - conclude Francesco - il rugby per loro è un'attività per «evadere», la parola giusta per il carcere».

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