A me il rugby

A me il rugby ha insegnato a prenderle e restituirle, certe volte a giocare di anticipo e a restituirle prima di prenderle, comunque a prenderle e incassare, a incassare senza farlo vedere, a non protestare, perfino ad apprezzare, soprattutto a rispettare, perché in questa fase di scambi, di baratti, di import-export, c’è sempre da imparare.
A me il rugby ha insegnato la geografia, perché non ho mai conosciuto Frascati finché in un terzo tempo non sono rimasto troppo a lungo in una cantina e quando ne sono emerso il pullman era già ripartito per Milano e a quel punto ho approfondito la conoscenza della stessa Frascati visitando altre cantine, e perché non ho mai conosciuto L’Aquila prima di conoscere gli aquilani, gente che ti terremotava sul campo, e che poi ti apriva il cuore, e le porte di casa.
A me il rugby ha spalancato le porte di molti pronto-soccorso.
A me il rugby ha insegnato che il mondo, cioè la vita, non è rotonda ma ovale, perché fatta di rimbalzi strani, sorprendenti, a volte misteriosi, imprevedibili, per questo affascinanti, perfino democratici, e allora è vera la storia che una possibilità, una opportunità, una soluzione, una via di entrata o di uscita esistono, almeno una volta, per tutti, e non stiamo parlando soltanto di depositare il pallone in meta, ma di altre mete e di altri orizzonti e di altri confini.
A me il rugby ha insegnato che il sostegno è il senso del nostro viavai e del nostro ambaradam di tutti i giorni, di tutti i santi giorni, e specialmente di tutti quelli che sembrano maledetti.
A me il rugby mi ha fatto sentire camionista, infermiere, maniscalco, carpentiere, contadino, trombettista, ultimamente anche prete e cantastorie.
A me il rugby ha spiegato che i Barbarians è un club a inviti e Barberians una squadra di “old” a una certa gradazione, che gli All Blacks sono i numeri 1 anche se solo uno di loro gioca con quel numero, che la regola dei 10 metri nobilita e protegge la classe arbitrale, che la linea del vantaggio è un imperativo categorico, che quella dei Bergamasco è una famiglia e quella dei bergamaschi è una razza.
A me il rugby ha fatto girare un po’ di mondo, spesso la testa, qualche volta anche le scatole.
A me il rugby ha insegnato che, se ci fosse l’acqua, sarebbe pallanuoto, e se ci fossero due ruote, sarebbe ciclocross, e se ci fosse il ghiaccio, sarebbe un casino, e se non ci fosse la birra, i tempi sarebbero soltanto due.
A me il rugby ha salvato la vita. E guardandomi intorno, devo dire che non sono l’unico.
(la mia prefazione al libro “Passione ovale – storie di rugby bergamasco”, di Marco Parisi, Cristiano Poluzzi e Gilberto Rivola, 144 pagine, 25 euro, Bolis edizioni)

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