L’Italia del rugby

Abbiamo battuto la Scozia. Veramente. A Dundee, Scozia-Italia 0-8. Con le donne.
E abbiamo battuto anche l’Irlanda. Veramente. A Dublino, Irlanda-Italia 43-51. Con i disabili.
Non ci sono soltanto Parisse e Castrogiovanni. Ci sono migliaia – trenta, quaranta, cinquantamila? – di italiani che giocano a rugby. Adulti e bambini, maschi e femmine, Fir e Uisp, carcerati, disagiati. E ci sono milioni – uno, due, tre? – di italiani che, davanti alla tv, è come se giocassero, mischie e ascensori, calcio d’inizio e punti d’incontro, mini-unit e off-load.
Siamo un grande club. La prima squadra ha giocato così così, ha perso, fra due settimane ci sarà il Galles a Roma, e se la giocherà. Ma poi ci sono le altre squadre, che non sono più vittime sacrificali, sconfitti designati, avversari-materasso, spaghetti e maccheroni. Siamo l’Italia del rugby.
Il rugby accoglie tutti: ma adesso al rugby non arrivano più i ragazzini troppo bassi per giocare a basket o troppo grassi per fare nuoto. Il rugby appassiona tutti: ma adesso sono le mamme e i papà a spingere i figli a provare con il pallone ovale. Il rugby affascina tutti: sarà perché non si fa scena, sarà perché non si protesta, sarà perché non si capisce mai bene fino in fondo e allora c’è sempre da imparare.
Personalmente, devo molto al rugby. Prima quando giocavo, adesso quando ne scrivo, sempre quando viaggio, incontro, conosco. Il rugby mi ha insegnato a stare al mondo.

paneegazzetta.gazzetta.it

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