La storia del rugby a Ravenna, quella comunità in cui riconoscersi In città il progetto è ripartito grazie all’imprenditore Poggiali. Ora il movimento romagnolo raccoglie oltre mille tesserati e gioca in A1

di Andrea Alberizia
Una suggestiva immagine dei giocatori del Romagna Rugby nella foto di Filippo Venturi
È iniziato il Sei Nazioni, il più importante torneo internazionale di rugby dell'emisfero settentrionale, e noi vi raccontiamo l'epopea della palla ovale a Ravenna. Si tratta del primo di una serie di approfondimenti sul mondo dello sport ravennate che potrete leggere tutte le settimane sulle pagine del nostro settimanale e, successivamente, anche qui, su www.ravennaedintorni.it. Il rugby è come il vino ma vive su fiumi di birra. Pensieri e parole del ravennate Giovanni Poggiali: 41 anni, imprenditore del gruppo Setramar appassionato della palla ovale da quando ne aveva 14, ex giocatore e allenatore, ora presidente del Romagna Rugby, la franchigia che riunisce tutti i club romagnoli e milita in serie A1, il massimo in Italia.
Ma Poggiali è anche proprietario di un’azienda vinicola in Toscana e amante delle birre alla fine di ogni partita, come vuole la tradizione del terzo tempo: «Le tante chiacchiere nei pub con i compagni e gli avversari a parlare di rugby e di altre mille cose raccontano questo sport meglio di tanti ragionamenti». E il vino? «Per fare un buon vino non si può pensare di dedicare impegno alle vigne solo un anno e poi dimenticarle l’anno successivo. La stessa cosa è per il progetto di un club di rugby: va seguito con attenzione». Lui se ne innamorò nel 1986 in una vacanza studio in un college inglese. Vent’anni dopo, nel 2006, lo ha riportato a Ravenna dove un manipolo di pionieri aveva provato a impiantarlo all’inizio degli anni Ottanta.
«Verso la fine degli anni Novanta sono tornato a lavorare in Romagna dopo anni trascorsi in Toscana e avevo l’idea di creare una società di rugby. Ad Alfonsine un gruppo di appassionati che si allenava e partecipava ai campionati minori. C’è stato un contatto e nel 2005 abbiamo creato una sezione dentro la Compagnia dell’Albero (di cui Poggiali è tra i fondatori, ndr), poi la squadra di Ravenna e poi la franchigia (che nel rugby è semplicemente un’associazione tra più club,ndr)». Il 2005 è un anno importante perché Ravenna riparte e Cesena conquista la promozione in serie B: «Così è nata la franchigia, un’idea che ho sempre avuto in mente, l’unica possibilità per fare rugby a un certo livello in questo territorio. All’inizio è stata l’unione tra Cesena e Ravenna per il campionato 2006-07, poi si sono inserite altre città e siamo in A1». Oggi ci sono Rimini, Cesena, Imola, Lugo, Forlì e San Marino. Nella prima stagione della franchigia il movimento radunava circa trecento persone tra giocatori e allenatori, nel 2013 il numero è cresciuto a 1.160. Che significa quasi il triplo di persone coinvolte indirettamente.
«Adesso siamo a un punto importante della nostra breve esistenza. La crisi economica riduce comprensibilmente i budget a disposizione degli sponsor. Dovremo capire quanto crediamo in questo progetto. Bisognerà ridurre le risorse ma mi auguro che il lavoro fatto finora abbia creato nelle persone un po’ lo spirito di questo sport». Il club prima di tutto, come comunità in cui riconoscersi: «La tradizione delle società inglesi è sacra. Può succedere che una stagione ci siano meno disponibilità e si retrocede ma non muore mai quello spirito di gruppo. In Italia invece siamo troppo legati alle disponibilità di un singolo mecenate. E quando questo va in crisi le società scompaiono. Non voglio che sia così».

ravennaedintorni.it

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