Rugby, tra disfatta nel Sei Nazioni e i nostri giovani “pigri e obesi”

 

È arrivato l’undicesimo cucchiaio di legno per l’Italia nel diciassettesimo Sei Nazioni a cui ha partecipato: sono tante le cause della disfatta e di certo non coinvolgono solo la diffusione del rugby in Italia.

In sedici anni – ovvero da quando l’Italia è stata invitata a entrare nel prestigioso torneo europeo che prima si chiamava Cinque nazioni (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda e Francia) – si potevano compiere importanti investimenti che avrebbero consentito di raccogliere i frutti nel tempo. Solo per fare un esempio, sarebbe stato opportuno inviare all’estero un buon numero di giovani tecnici, meglio ancora se ex giocatori nazionali, per imparare le metodologie di insegnamento in Paesi in cui si respira la palla ovale già a scuola. Certamente questi tecnici avrebbero notato che la prima differenza è nelle ore dedicate all’attività dell’Educazione fisica negli istiuti o nei college.
Non è un caso che in Europa – secondo gli ultimi dati disponibili – nell’anno scolastico 2011/12, l’orario medio minimo raccomandato oscillava tra le 37 ore annuali in Irlanda e le 108 in Francia, nella scuola primaria; nel ciclo successivo, al livello di base troviamo Spagna, Malta e Turchia, con un monte ore compreso tra le 24 e le 35, e, in vetta alla classifica, Austria e ancora Francia (dalle 102 alle 108 ore di “Educazione Fisica e Sportiva”). In queste classifica, l’Italia è quasi sempre nelle ultime posizioni dove gli studenti del ciclo di istruzione secondaria obbligatoria dedicano all’educazione fisica il 7% dell’orario complessivo (in Francia invece è il 15%). E così dal 2000 – anno di debutto nel Sei nazioni di rugby – l’Italia si è dovuta accontentare, nel migliore dei casi, di una partita vinta a edizione, di qualche quasi vittoria, per leccarsi puntualmente le ferite rimediate durante tutte le altre gare. L’unico “risultato raggiunto” è stato il trasferimento della sede dallo stadio Flaminio all’Olimpico a causa del pubblico sicuramente aumentato negli anni, ma molto spesso grazie ai tifosi della nazionale che ci è venuta a sfidare.
È chiaro che i mancati investimenti nel rugby sono lo specchio di un Paese che non riesce o forse non vuole investire nello sport, ancora meno nei giovani. Pochi giorni fa è stato pubblicato il rapporto sulla salute e il benessere dei giovani dell’Oms: gli adolescenti italiani sono più pigri e obesi rispetto a quelli del resto d’Europa, hanno più difficoltà a relazionarsi con gli adulti. Secondo i dati raccolti nel 2013-2014 su ragazze e ragazzi di 11, 13 e 15 anni, più del 30% degli undicenni e dei tredicenni maschi è sovrappeso o obeso; un dato che cala, ma rimane sopra il 25% per i quindicenni. I numeri sono ancora più preoccupanti in merito ai tassi di attività fisica, che ci vedono ultimi assoluti sia a 11 anni che a 13. A questa età appena il 5% delle ragazze e l’11% dei ragazzi fa almeno un’ora al giorno di esercizio moderato o vigoroso.
La speranza è che molto presto si arrivi a un’inversione di tendenza, a partire dall’attività fisica nelle scuole, fondamentale per il futuro di un’Italia che di cucchiai di legno sta diventando specializzata. Non solo nel rugby.

lultimaribattuta.it

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