Migranti, quando lo sport è simbolo di integrazione

Dall'Africa a Milano: per Dembo e Momodou la vita rinizia in un campo da rugby. Le violenze sui barconi, l'arrivo in Italia, il riscatto: la loro storia a Lettera43.it.

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11 Ottobre 2015
A migliaia bussano alle porte dell'Europa. Spesso vengono percepiti come aggressori, e sballottati da uno Stato all'altro.
E invece i migranti sono simili a noi, hanno sogni e obiettivi simili ai nostri, anche quando chiedono semplicemente di sopravvivere.
Vorrebbero realizzare progetti di vita che nelle loro terre sono proibiti ma che qui (anche con la crisi, anche se a fatica) diventano possibili.
INTEGRARSI COL PALLONE. Le telecamere li mostrano sempre salvati in mare o nei centri di raccolta dove le loro esistenze si fossilizzano nel degrado e nell’emarginazione.
Non si racconta quasi mai, invece, cosa fanno i migranti e come siano utili lavorando gratis, per esempio, per i Comuni per rendere - anche loro - l’Italia un Paese migliore.
Lettera43.it ha conosciuto Dembo e Momodou, africani di 18 e 19 anni, e ha parlato con loro, una sera in un campo da rugby nell’hinterland milanese. Li ha ripresi in video mentre stavano allenando bambini italiani e stranieri.
LE VIOLENZE SUI BARCONI. Un anno fa questi due ragazzi navigavano incerti sullo stesso barcone, Dembo veniva dal Gambia, Mamadou dal Senegal, non si conoscevano e lì sono diventati amici.
A Dembo uno scafista ha sparato perché si lamentava troppo, a Momodou è andata meglio.
Entrambi hanno fatto richiesta d’asilo e ora sono insieme a Milano.
Dormono in una cooperativa sociale e stanno imparando ad allenare i bambini all’associazione RugBio, nei campi sportivi di Abbiategrasso, aiutati dai giocatori della Nazionale italiana.
 

Dai barconi verso Lampedusa a un futuro nel rugby

Da loro vengono bambini italiani da Milano e da tutta la provincia.
Li accompagnano i nonni, i genitori si dicono soddisfatti e i bambini in campo si divertono.
Vedere i fagotti biondi dei più piccoli scambiarsi la palla ovale tra le gambe nere degli allenatori, gareggiando anche con bambini che tra loro si parlano in arabo ci è sembrata una bella storia da raccontare.
Dagli sgomberi di viale Jenner a Milano, le case popolari di Abbiategrasso sono diventate una kasbah.
Parecchi musulmani vivono vicino ai campi e così anche loro portano i bambini a rugby.
PARTITE MULTIETNICHE. Nella settimana dell’Eid al Kabir (o al Adha, del sacrificio), il grande pellegrinaggio alla Mecca, è festa grande e le famiglie musulmane a passeggio sono ancora di più.
I genitori milanesi che aspettano ai bordi del campo non vengono da quartieri multietnici, ma non si formalizzano per i tanti stranieri negli spogliatoi con i figli: «Anche a scuola è così», raccontano.
Gli adulti alzano muri, ma per i bambini la convinvenza è normale e per Dembo e Momodou lo sport è una passione che si realizza.
Momodou non giocava a rugby in Africa, è stata una scoperta piacevole in Italia che vuole coltivare.
UN CALCIO AL RAZZISMO. A Dembo invece piaceva già: sarebbe splendido andare ad allenare in Africa, ma in Gambia, lo dice chiaramente a Lettera43.it, non si può tornare.
Dembo e Momodou hanno una vita davanti e per ora vogliono passarla a Milano: «È bella», dicono.
La loro esperienza e l'esperienza dei bambini che allenano dimostrano come, senza razzismo, si possa tutti stare meglio.
 
Twitter @BarbaraCiolli

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