Il cammino dell’Italia lungo il sentiero della morte
by Beniamino Franceschini
In
questi giorni gli italiani stanno mostrando il proprio volto peggiore.
C’è una manica di sedicente brava gente che indossa le vesti degli
intellettuali anticonformisti e ritiene che sia fondamentale affrontare
tecnicamente la tragedia dei migranti. Un po’ come quella brava gente
che tuttora considera necessario rileggere in ottica tecnica le stragi
compiute dai nazisti in Italia, oppure sottrae energie che potrebbero
essere impiegate in modo più utile (per esempio dormendo) per spiegare
il messaggio filantropico di Ahmadinejad, la profondità morale di Putin,
la differenza tra 6 milioni di ebrei morti nei campi di sterminio e
5.999.999 milioni di ebrei morti nei campi di sterminio, misurando le
rispettive conoscenze storiografiche nella disfida su chi ha ucciso più
esseri umani tra Hitler e Stalin.
Gli
italiani non sono brava gente: spesso sono buoni, compassionevoli,
umanitari, ma non brava gente. Lo stiamo dimostrando. Ci sono campioni
che inneggiano alla morte di centinaia di bambini, donne e uomini,
mascherando l’insofferenza e il razzismo con falsi discorsi che, nelle
loro intenzioni, dovrebbero apparire come tecnicamente legittimati e
corretti. In realtà, siamo razzisti e barbari. Oltre che ignoranti.
Addirittura,
c’è chi ha scritto che la responsabilità della tragedia di Lampedusa
sia dell’Africa stessa, dei genitori africani che, nonostante la miseria
nel continente stia diminuendo, acconsentono che i figli si imbarchino
per terre lontane, privando le regioni delle braccia del futuro. C’è chi
ha scomodato Senghor, Sankara e Fanon per spiegare che i migranti
disonorano i propri idoli abbandonando l’Africa. Ovviamente, chi ha
citato questi personaggi ha potuto contare sul fatto che in Italia non
sappiamo minimamente chi siano Senghor, Sankara e Fanon.
Poi
c’è il dibattito sulla Bossi-Fini, che, a dire di molti, tramite la
minaccia di clandestinità dovrebbe prevenire le ondate migratorie.
Certo: innanzitutto, chi scappa dalla dittatura di Afewerki ha
sicuramente paura di una legge che forse nemmeno conosce, ma sicuramente
talmente potente da convincerlo che sia meglio morire fucilato per
strada ad Asmara, oppure dilaniato da una bomba a Chisimaio oppure
ancora sventrato a Damasco, piuttosto che rischiare una multa. In
secondo luogo, che cos’è il clandestino? Chi è clandestino su questa
terra? Strano che molti di quelli che ambiscono alla difesa del
Crocifisso nei luoghi pubblici e che si vantano di lottare per la tutela
della “cultura” italiana dimentichino che, per il Vangelo, in realtà
siamo tutti clandestini. Tutti. Per qualsiasi religione l’uomo è
clandestino sulla Terra.
Il
reato di clandestinità dovrebbe difendere il patrio suolo europeo da…
che cosa precisamente? Dai neri? Dai musulmani? Anzi, no: da quelli che
arrivano in Italia per rubare il posto di lavoro agli italiani. Ma quale
posto di lavoro? Crediamo davvero che in Africa siano totalmente
abbindolati dalle soap opera europee? Ancora con questa storia? I
migranti sanno perfettamente che in Italia la situazione è drammatica,
ed ecco perché, per esempio, i somali vanno verso Londra, Birmingham,
Amburgo, Helsinki, Stoccolma. Per molti di essi l’Italia è un approdo,
non una meta. Il problema è che noi siamo talmente italocentrici,
egoisti e presuntuosi che riteniamo certo che tutti nel mondo vogliano
vivere in Italia. Sul serio: chi in realtà vuol vivere in Italia? Ormai,
come nel Seicento, l’Italia è un Paese da morti.
Il
reato di clandestinità è un obbrobrio concettuale prima di tutto,
quindi anche legale, perché prendere uno di quelli che per molti è un
criminale che cercava di entrare illegalmente sul sacro suolo italico e
pertanto è morto a suo rischio e fargli una multa o condannarlo al
carcere non è altro che un aggravio per i fondi pubblici. Però ci sono i
voli di rimpatrio – dice l’esperto di politiche migratorie del barrino.
Vero, ma verso dove? Dimentichiamo che, tanti dei morti nel
Mediterraneo, come giustamente ha affermato il presidente Napolitano,
arrivano dalla Siria, che, per i non esperti, non è in Africa ed è
attraversata da una guerra civile, riguardo alla quale l’Italia
parteggia per gli insorti. Per di più, è paradossale che noi italiani ci
lamentiamo dell’immigrazione, e parlo con cognizione, dato che miei
familiari sono emigrati in Svizzera negli anni Sessanta, all’epoca dei
divieti d’accesso ai bar per i nostri concittadini insieme con turchi,
portoghesi e cani.
Ma
noi abbiamo portato il lavoro – continua il commissario dei Bar Uniti.
Sicuro. E poi abbiamo portato la mafia, anche. E qualche rissa. E tanti
morti, in mare, sulla terra e sottoterra, nelle miniere. Non si tratta
di preistoria, perché la fase acuta del fenomeno è terminata negli anni
Settanta. Chi non ci crede, legga i rapporti del Congresso degli Stati
Uniti d’America, le opere letterarie di Steinbeck e Fante, oppure guardi
qualche documentario di Zavoli, con tanti italiani bassi e neri in
canottiera che portano il coltello tra le bretelle e adocchiano le
bionde tedesche. Eppure, i nostri migranti hanno salvato anche interi
Paesi, contribuendone al rilancio, un’opportunità che la brava gente del
2013 preferisce non concedere.
Sinceramente,
a me non interessa proprio niente dei dibattiti piccoli dell’Italia:
stiamo diventando uno sputo nel mondo, nemmeno degni di una compagnia
aerea di bandiera. Le dinamiche geopolitiche stanno compiendo il loro
corso, gli equilibri globali si stanno riassestando, ed è inevitabile,
perché si tratta di un fenomeno naturale, come lo sono anche le
migrazioni. Qualche migliaio di anni fa, un uomo dalle fattezze di un
somalo contemporaneo avrà alzato lo sguardo, preso il bastone e
accompagnato la moglie di là dalle acque salate, dando il via alla
marcia che ha condotto la nostra specie alla colonizzazione del mondo.
Non
m’interessano le diatribe piccole piccole e razziste. Mi ripugnano anzi
le false ipocrisie di chi si lamenta perché l’Italia dovrà farsi carico
delle salme dei migranti, di chi sostiene che per quei clandestini il
gioco valga la candela, che tanto non avrebbero pagato le tasse, rubando
posti di lavoro, di chi si chiede se le lacrime versate da quella gente
siano vere o meno.
Io
immagino solo una barca bagnata e scivolosa che cigola sotto il peso di
centinaia di persone. La paura e la speranza. Le fotografie un po’
kitsch dei giovani che sognano di incorniciare quelle immagini e
compiacersene in vecchiaia, magari con un tocco di imbarazzo. Immagino
le mani giunte, una sura del Corano e un’Ave Maria in arabo, un Padre
Nostro in aramaico. Il terrore di chi viene dal deserto e non ha mai
visto il mare, il terrore di chi sa che potrebbe morire, ma,
soprattutto, che potrebbe infrangere le speranze della famiglia. Il
pensiero alle dune del Sahara, alle acque del Giuba e alla chiesina
diroccata annerita dalle fiamme a Homs. La sorella, il fratello, il
vecchio scemo del villaggio, il cane pulcioso. Oppure quel locale così
occidentale inaugurato tre anni fa, il cinema, l’università, le gonne
delle ragazze prima della guerra. E poi la madre, il padre, l’amico che
non è potuto partire, la lotta di un corpo che ha continuato a vivere,
con i suoi ritmi e i suoi meccanismi biologici, per quindici o venti
anni, e che ha bisogno d’aria e acqua e cibo. Donne strette che cullano i
bambini. Un’altra canta la ninnananna tradizionale al figlio che ha in
grembo.
E
d’improvviso le urla, le spinte, il panico, il cuore che batte, lo
stomaco che si chiude, il calore che dal ventre sale verso il torace e
il collo. Il tuffo in mare, il peso che porta in basso, le membra che si
dimenano, una boccata d’aria e poi l’onda che spinge ancora sottosopra.
I vestiti gonfi d’acqua, i gesti istintivi della sopravvivenza, il
corpo cerca l’aria, i polmoni bruciano, la testa esplode e infine
l’ultimo sapore dell’acqua salata e il silenzio che non può essere
ascoltato. Se Dio vorrà – Insha’Allah – qualcuno verrà a ripescarti,
altrimenti i pesci avranno più pietà di te che gli uomini.
E
così muore un Hassan o una Aisha qualsiasi, tanto erano neri,
clandestini e se non fossero affogati in mare, sarebbero finiti
accoltellati spacciando droga per mano di un Rodrigo Hernandez o di un
Adrian Iliescu, magari dopo essere passati in quelle carceri con gente
che non ha ancora capito che, anziché lamentarsi ora perché stanno con
altre trenta persone in cella, avrebbero dovuto evitare prima di
delinquere.
Noi,
però, si italiani, dobbiamo già pensare a Berlusconi, Renzi, Grillo,
Scalfari, al Pd, a Balotelli, alle vacanze sul Mar Rosso, quindi, per
favore, vi aiutiamo là, a casa vostra, grazie.
Beniamino Franceschini
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