Così Beatrice mette in riga i giganti del rugby E' romana il più giovane arbitro internazionale di rugby «Sogno di andare alle Olimpiadi di Rio»


Maria Beatrice Benvenuti
di Paolo Ricci Bitti



Con la palla ovale e il fischietto da Trastevere alle Olimpiadi di Rio de Janeiro passando per le lontane steppe della Terra dei Tatari, non Tartari - attenzione - che poi Marco Polo e gli abitanti di Kazan si offendono di brutto. Ecco appunto dalla capitale del Tatarstan, diamo la linea a Maria Beatrice Benvenuti, ventenne romana e arbitro di rugby che in questi giorni ha fischiato anche superpotenze come Inghilterra e Francia e Russia durante i match di seven alle Universiadi.
«Che avventura arrivare fin qua, ma ne è valsa la pena perché il torneo - risponde la neostudentessa di Medicina alla Sapienza ed ex alunna (brillante) del Giulio Cesare che parla tre lingue - è magnifico».

Unica italiana ad arbitrare.
«Ed anche la più giovane».

Finora è sempre stato così per “Bea”, una tipa minuta, occhi nocciola e lunghi capelli castani, che mette in riga i giganti del rugby con l’autorevolezza delle proprie decisioni.
«Sono stata la più giovane arbitra, 16 anni; la più giovane ad entrare in Accademia; la più giovane in serie A femminile e a livello internazionale, al 6 Nazioni».

Beh, “Bea”, la concorrenza è quella che è: in Italia sarete poco più di settanta...
«E che vuol dire? Poche o tante, a valutarci sono commissioni internazionali che esaminano centinaia di arbitri donne di tutto il mondo».

Ok, ok, non tiri fuori il cartellino rosso. Lo sappiamo che nel rugby l’arbitro non si discute mai. E aveva 16 anni quando ha spedito un dirigente davanti alla Procura Federale.
«Nel rugby il rispetto e l’esempio sono tutto: è per questo che l’ho scelto. Quel dirigente aveva esagerato, ma in quattro anni è accaduto solo in un’occasione. Cerco sempre di spiegare le mie decisioni prevenendo le cattive interpretazioni: così si convincono 30 giocatori a rispettare le regole e a pensare solo a dare il meglio in campo per divertirsi e per divertire. Sì, qualche insulto vola dalla tribune, ma non mi faccio mettere pressione. E si figuri che una volta una donna è venuta a stringermi la mano alla fine del match: “Lei è il primo arbitro che, minacciando con educata fermezza di cacciarlo dal campo, ha fatto stare zitto quell’allenatore. Che poi io lo conosco bene: è mio marito”».

Lei non nasce nemmeno in una famiglia di rugbysti.
«Già, papà Alessandro fa il veterinario e insieme a mamma Paola si è ammalato di rugby solo dieci anni fa: sono diventati accompagnatori nelle società dei miei fratelli Pietro e Leone, 18 e 9 anni, e anche mia sorella più piccola, Maria Clotilde, dà una mano con gli under 6. Devo molto ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuta e scarrozzata in giro per i campi: loro credono nel rugby come strumento per farci crescere con regole e valore in un ambiente sano.

In che ruolo ha giocato?
«Io ho giocato solo un po’ da bambina, mai a livello agonistico. Con la squadra degli arbitri dell'accademia di Tirrenia facciamo ogni anno un torneo di touch (niente mischie e non si placca, ndr) mi piace fare l'ala. Ora collaboro anche con l’Unione rugby capitolina under 16, 20 e prima squadra: è una vera soddisfazione notare che i giocatori commettono meno infrazioni dopo le sedute in cui ci si confronta sul regolamento. Nel frattempo ho fatto triathlon e pentathlon: sono una che ha sempre fatto sport molto impegnativi e il rugby mi ha sempre affascinata. Mi ha dato e mi sta dando moltissimo e mi auguro continui a farlo a lungo».

E allora come è diventata arbitro d’Ovalia?
«All’inizio per gioco. In seguito per sfida: cerco sempre di imparare e di farmi valere al momento giusto, per vedere dopo posso arrivare».

Lontano, secondo l’arbitro Giulio De Santis, uno dei nostri più illustri rappresentanti nel mondo.
«Lo ringrazio: lui e Federica Guerzoni sono in effetti i miei arbitri di riferimento come lo sono Richie McCaw, il capitano degli All Blacks, che ho conosciuto con grande emozione a Roma nelo scorso novembre, e l’azzurra Veronica Schiavon (Riviera del Brenta) tra i giocatori. Lei è bravissima anche a calciare l'ovale tra i pali. E poi dicono che le donne sono da meno».

Il debutto?
«Indimenticabile: 6 dicembre 2009 Villa Pamphili-Roma Olimpic under 14».

Fango, pioggia, vento: nulla ferma i rugbysti e le rugbyste. Certi campi della serie C sono paludi.
«Meraviglioso, quanto uno stadio del Sei Nazioni: lo spirito è lo stesso. E finalmente in tanti se ne sono accorti anche in Italia: aumentano i bambini e le bambine nei club e aumenteranno anche gli arbitri donna. Il fatto di rappresentare l'Italia qui a Kazan mi rende molto orgogliosa e al tempo stesso mi fa sentire una forte responsabilità».

E l'università? Medicina non sarà una passeggiata.
«Se ci si organizza si riesce a fare tutto. E bene. Anche a trovare il tempo di leggere: ho appena finito “I racconti di Nené” di Camilleri, amico dei miei genitori»

Ma qual è la meta finale di questa sfida?
«Resto con gli scarpini per terra, ma, per quanto impervio, non mollo il sogno di andare alle Olimpiadi in Brasile che ospiteranno di nuovo il rugby, sia pure a 7».
I Giochi di Rio con Maria Beatrice Benvenuti per portare un po' di azzurro nei tornei di Seven: magari, perché se non ci riesce lei per i giocatori e le giocatrici delle nazionali seven non basterà un paio di miracoli.
paolo.riccibitti@ilmessaggero.it
@paoloriccibitti

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