Nel carcere di Monza la riabilitazione vive tra una meta e un placcaggio.

Matteo Rigamonti
Dopo quelle di Torino, Napoli e Milano è nata la squadra di rugby della casa circondariale di Monza. L’obiettivo? Il reinserimento dei detenuti per aiutarli a non tornare più indietro. E giocarsi, a giugno, la partita della vita
La palla ovale varca le soglie del carcere di Monza. Il nome ufficiale non è ancora stato deciso ma la squadra di rugby della casa circondariale di via San Quirico è già realtà ed è da più di tre mesi che si sta allenando duramente sotto la supervisione di Alessandro Geddo e Francesco Motta, rispettivamente direttore tecnico della prima squadra e dell’under 20 (con un passato in serie A nelle fila del Rovato), il primo, e giocatore nel ruolo di prima linea, il secondo, entrambi nel Grande Brianza Rugby, la compagine nata dalla collaborazione tra Rugby Monza e Velate a livello seniores. La presentazione ufficiale della squadra, con tanto di cerimonia di consegna delle nuove maglie Errea da parte del presidente Paolo “il grigio” Carcassi, è avvenuta nella sala della biblioteca alla presenza della direttrice del carcere Maria Pitaniello, del prefetto di Monza Giovanna Vilasi, del vice sindaco della città, dell’assessore allo sport e del presidente del Comitato regionale lombardo della Federazione italiana rugby Angelo Bresciani.
GLI ALLENAMENTI. Alla convocazione hanno risposto fin da subito circa una ventina di detenuti che, da ottobre, si presentano regolarmente ogni mercoledì mattina dalle 9 alle 11 sul campo interno alle mura che già ospita la squadra di calcio a sette del carcere regolarmente iscritta al campionato Open C del Csi. I novelli rugbisti, per metà italiani e per metà stranieri (ci sono peruviani, ecuadoregni brasiliani, rumeni ma non solo), sono quasi tutti neofiti della disciplina; solo uno di loro ha militato da ragazzino nelle giovanili della squadra di rugby della sua città. E per essere presenti alla conferenza hanno rinunciato all’allenamento odierno. «Abbiamo cominciato solo per provare un’esperienza diversa durante le due ore d’aria», spiega C. ai presenti e aggiunge: «Ci piaceva già lo sport ma nessuno aveva mai pensato di praticare il rugby». E c’era anche chi l’ha fatto «per dimagrire». «Già, è stata una scoperta quasi per caso ma poi ci siamo appassionati», gli fa eco un compagno: «Si fa gruppo ed è bello stare insieme con gente che, magari, potresti anche incontrare di nuovo un domani». E ancora un altro: «Dopo gli allenamenti siamo tutti un po’ stanchi ma si sta bene, ci si sente più liberi e questo ci fa bene».
IL PROGETTO. L’idea di portare il rugby in carcere è nata in seguito a una visita degli atleti degli Aironi dopo la disfatta in Heineken Cup per 82 a 0 allo stadio Brianteo di Monza contro il Clermont, incontro per il quale i detenuti avevano stampato le locandine: «La prossima volta vi faremo giocare a rugby», aveva promesso in quell’occasione Carcassi che, con la sua squadra, è vero e proprio “vicino di casa” dei detenuti (il campo del Rugby Monza è, infatti, adiacente alla casa circondariale). «L’obiettivo – spiega Alex Geddo – è quello di avvicinare i ragazzi al rugby, che è uno sport di contatto: per questo sono previste una fase iniziale conoscitiva, per insegnare le regole del gioco e l’abitudine al contatto, e una seconda più avanzata per poter essere in grado, a fine anno, di disputare una vera partita contro una selezione di giocatori del Grande Brianza Rugby». Intanto, oltre agli allenamenti, ogni atleta è tenuto, per esplicita richiesta degli allenatori, a completare una sessione di 100 flessioni e 200 addominali al giorno, al fine di irrobustire a sufficienza il corpo.
OLTRE IL PROGETTO. Il rugby è indubbiamente uno sport che educa a valori come la lealtà, l’impegno, il sacrificio e il rispetto delle regole. Ma «non si tratta di un’attività fine a se stessa», chiarisce l’agente di rete Leonardo Nazzaro, «il progetto è qualcosa che va oltre le mura del carcere: è un modo per dire alle persone detenute che le porte del Grande Brianza Rugby sono aperte per loro. Anche quando usciranno dal carcere, potranno decidere di non frequentare più bar e luoghi di prima ma, piuttosto, andare a bere una birra con gli amici del rugby, oppure, perché no, svolgere un’attività insieme a loro». C’è anche, infatti, l’intento comune da parte della casa circondariale e del Rugby Monza di coinvolgere il comune in progetti per permettere ai detenuti di svolgere lavori di manutenzione degli spogliatoi e di giardinaggio nel campo di rugby adiacente il carcere. Gli esempi che incoraggiano i monzesi non mancano di certo: squadre di rugby come questa sono già nate a Torino, Napoli e Milano; e c’è anche chi, quando è uscito, ha firmato come atleta o come allenatore per la società che, intanto, l’aveva cresciuto. Appuntamento, dunque, a fine anno, quando la squadra di rugby del carcere di Monza sarà pronta per giocare la sua prima partita.

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