Il rugby champagne? C'est la vie...
Jean-Pierre Rives
Il rugby sta alla Francia come lo champagne alle ostriche.
Che poi l’abbia detto Jean-Pierre Rives (quello che metteva la testa
dove gli altri non si azzardavano a mettere neanche i piedi) o Dom
Pérignon (quello che fa venire sempre un po’ alla testa), non è
importante. Perché lo champagne è il meglio - il sangue - della terra e
le ostriche il meglio - un tesoro - del mare. Ma lo champagne è anche il
botto (il calcio come il tappo?) dell’apertura, l’allegria dei
trequarti, la felicità dell’estremo (l’arrière, come recitano i
nostalgici, o come sussurrerebbe Paolo Conte), invece le ostriche sono
la compattezza delle mischie chiuse e la durezza di quelle aperte.
Il rugby francese è nato per export dall’Inghilterra, la
prima missione a Le Havre, a Nord, e si è depositato ai piedi dei
Pirenei, a Sud, passando per Parigi, dove è sopravvissuto e poi si è
imposto come l’anti-calcio. Però lo spirito abita sotto quei pali, e
quei campanili, "terroni", tra Beziers e Narbonne, fra Perpignan e
Tarbes, fra Tolosa e Saint-Gaudens. Non c’è villaggio che non abbia la
sua Iliade, i suoi Achille e Ettore, il suo Ulisse, il suo cavallo di
Troia. Il professionismo ha cambiato i conti in banca, l’Equipe
modificato l’impaginazione, lo Stade Français rivoluzionato le maglie.
Ma in Francia, il rugby "c’est la vie".
Marco Pastonesigazzetta.it
Commenti
Posta un commento