Campobasso si innamora del rugby: "E adesso tutti a vedere gli All Blacks"

Sta facendo proseliti la neonata formazione rugbistica del Cus Molise rugby. «Campobasso ha voglia di crescere e conoscere nuove discipline» racconta Cristian Adamo, giocatore e grande amante della palla ovale. «La parola chiave è sostegno: nessuno è mai da solo». E sabato 17 novembre la squadra sarà a Roma per assistere al match fra Italia e Nuova Zelanda all’Olimpico.
di Fabiana Abbazia
 
In home page e qui sopra Cristian e i ragazzi del Cus Molise Rugby in azione; foto realizzate da Maurizio Ioia, fotografo ufficiale della squadra e grande appassionato di questa disciplina
Campobasso. Una vera e propria passione per il rugby si sta diffondendo in città. Una partecipazione autentica che la domenica invoglia tantissimi giovani a vedere le partite all’ex stadio Romagnoli. E se nulla avviene per caso, il merito per uno sport che inizia a dilagare va certamente a un gruppo di giovani che nel rugby hanno creduto e continuano a farlo. Loro sono i ragazzi del Cus Molise Rugby che quest’anno hanno deciso di iscriversi alla serie C del campionato campano. Bello, simpatico e ovviamente sportivo, Cristian Adamo, giocatore della squadra di rugby della città ha raccontato a Primonumero come è nata questa passione e come è stato possibile tutto ciò, in una città in cui, da sempre, il calcio è stato l’unico sport a far da padrone.

Cristian, tu da sempre ami lo sporte al Cus insegni perfino pilates: ma da cosa è nata la tua passione per il rugby?
«Ho iniziato sin da piccolo a fare attività sportiva. Quando avevo circa 5 anni furono i miei genitori a decidere che per alleviare la mia asma avrei dovuto fare nuoto. Quello è stato il mio trampolino di lancio, da lì ho sperimentato ogni tipo di sport: dall’eleganza dell’atletica leggera alla destrezza della Kick Boxe. Il mio è stato un cammino immerso nella conoscenza e nella scoperta di ogni forma e disciplina sportiva che, alla fine, è approdata al rugby. La mia passione per questo sport è nata quasi per caso, quando qui in Molise erano davvero in pochi a praticarlo. Io ho iniziato a maneggiare un ovale nel periodo della mia permanenza nel Regno Unito. Da lì è esplosa la mia passione per questo sport che tuttavia è rimasta latente finché non ho avuto modo di condividerla con quello che io oggi definisco il branco».

Tra tutti gli sport che hai praticato perché ami tanto il rugby?
«Semplice, perché oltre a sentirlo affine al mio carattere, resta uno sport che custodisce tutte le regole primitive della vita stessa: senso di sfida, disciplina, rispetto per l’avversario, tenacia, resistenza, forza e coraggio, ma soprattutto dedizione, passione ed amore in tutto quello in cui si crede».

E se in una parola dovessi descrivere l’essenza stessa di questa disciplina?
«Risponderei con un termine tecnico del rugby: sostegno. Il sostegno è il momento in cui si manifesta una dimensione fondamentale del rugby. Infatti, quando un compagno possiede la palla, il resto della squadra non lo lascia mai da solo, anzi lo accompagna verso il difficile traguardo della meta. Il sostegno, tanto osannato nel rugby, ha un forte ascendente sia nella squadra, in quanto sinonimo di forza e di unità, sia nella vita di ogni giocatore, poiché trasmette un forte percezione sociale ancor prima che una valenza tecnica. Bisogna però ricordare che aiutare il compagno quando è in difficoltà, oppure essere aiutati racchiude un forte senso di umiltà. Ogni giocatore sa che deve pensare non per sé ma per gli altri, perché la partita si vince solo con il supporto degli altri e non con le sole qualità del singolo. Insomma in questo sport non si corre mai da soli».

Ma questo rugby è poi davvero così violento come in molti dicono e come a volte sembra?
«La maggior parte delle persone ritiene che questo sport sia solo violento eppure, come ho già detto, disciplina, rigore, altruismo sono gli insegnamenti che più si trasmettono con questo gioco. E’ uno sport sicuramente duro, di contatto, userei il termine di combattimento, secondo il gergo degli sportivi, ma la cosa non deve spaventare; perché se è vero che la caratteristica principale è il contatto fisico, questo è guidato dal rispetto delle regole. Ogni giocatore scende in campo con la volontà di superare l’avversario che ha di fronte ma nel solo modo che conosce: attraverso l’utilizzo delle proprie qualità fisiche e mentali, supportate dal costante aiuto dei compagni di squadra. In realtà non ho mai visto un giocatore di rugby alzarsi per inveire contro l’arbitro dopo un placcaggio subito - neppure se non perfettamente eseguito – e questo avviene perché ogni giocatore sa che ciò che certamente accomuna lui all’avversario è lo stesso senso di lealtà sportiva. I giocatori magari si lamentano anche, qualche volta, ma fuori dal campo, magari davanti a una bella birra fredda».

Insieme alla tua squadra durante la Notte Bianca di Campobasso hai promosso un flash mob: come mai questa scelta?
«Diciamo che la scelta di un flash mob, durante la notte bianca è nata per far fronte a due importanti obiettivi da raggiungere. Per prima cosa avvicinare i cittadini del capoluogo a questo sport, facendogli toccare con mano, nel vero senso del termine, alcuni movimenti del rugby, alcuni aspetti tecnici, come ad esempio touche, passaggio, mischia ordinata, per stimolare la curiosità verso un qualcosa che fino ad oggi, in regione, è stato proiettato solo attraverso i mezzi televisivi. Ovviamente poi, ha contribuito alla realizzazione dell’iniziativa la voglia di farci conoscere come squadra, per cercare di creare un legame di unione tra il club e i propri tifosi, suggellato dalla passione comune per la propria terra e l’orgoglio di vederla celebrata ogni qualvolta si entra in campo».

Quindi in Molise il rugby è davvero uno sport poco praticato?
«Il Cus Molise Rugby è l’unica squadra rappresentativa di questa regione, questo perché fino a qualche anno fa, si era in pochi a parlare di tale sport. Campobasso è una città che ancora porta con sé un forte ascendente calcistico. Gli inni ai Lupi rossoblu riecheggiano ancora per le strade di questa città e, dalla terra rossa del vecchio Romagnoli ancora si respira l’intensità e il calore di quei giorni gloriosi che hanno visto risplendere la città nel firmamento dei club blasonati a livello nazionale. Campobasso è cresciuta su questa esperienza concentrando ogni risorsa per tentare di raggiungere i vecchi albori di un tempo. Tuttavia, sono però convinto che oggi gli abitanti di Campobasso abbiano deciso di non voler più vivere nel ricordo ma crescere, portare avanti nuovi progetti e realizzare nuovi sogni».

Quindi credi che con il tempo le cose possano cambiare?

«Secondo me non è il tempo che cambia le cose ma la volontà delle persone di credere in ciò che fanno. Da parte della squadra del Cus Molise c’è sicuramente il desiderio forte di crescere e ricambiare con il sudore e la grinta ogni attenzione dei tifosi, mettendoci tutto l’impegno necessario».

Siete partiti con i giovani e solo in un secondo momento avete pensato di iscrivere la squadra in serie C. Come mai?
«Si è vero, questa avventura è iniziata da una semplice passione che abbiamo principalmente concentrato sui giovani. Abbiamo investito la nostra esperienza e la nostra passione su un settore, quello giovanile, perché in loro c’è la crescita e l’innovazione. Tuttavia ci siamo resi conto, quest’anno, che solo il settore giovanile non sarebbe stato sufficiente a portare avanti il nostro intento principale, perché al termine del percorso giovanile i nostri ragazzi si sarebbero trovati a dover scegliere tra due opzioni.
Lasciare la Regione per inseguire questo sport oppure lasciare questo sport per restare nella loro terra. E’ stato questo quindi, il vero motivo che ci ha spinto a offrire una possibilità in più ai nostri ragazzi».
Dopo la partita, nel rugby c’è sempre il terzo tempo, lo stesso che anche il calcio ha fatto suo, secondo te che valore ha?
«Il terzo tempo è una delle tradizioni più significative del rugby. Inizia con il fischio dell’arbitro che conclude la partita. Da quel momento le due squadre mettono da parte la rivalità e dopo il campo e lo spogliatoio la partita finisce al ristorante o al pub. Forse anche ciò rappresenta il vero spirito del rugby, perché ritrae un momento durante il quale le due squadre avversarie che fino a pochi istanti prima hanno combattuto sul campo ristabiliscono un clima di tranquillità e goliardia. Il terzo tempo è un momento bello e utile, perché serve spesso a riappacificare gli animi tra tifosi e giocatori e ristabilire il giusto clima e la giusta ottica dalla quale guardare in modo sano al mondo sportivo».

Per i vostri match vi dovete accontentare del vecchio Romagnoli. Quando potremo vedervi in un campo sportivo in condizioni migliori?
«Come ho detto prima il vecchio Romagnoli che noi della squadra definiamo il cuore pulsante di questa città è stato il palcoscenico sportivo più importante della regione. La sua terra è stata consacrata da persone di grande spicco nella storia sportiva del Molise e anche della nazione. Per noi, quindi, non può che essere un onore disputare i match su questo campo. E’ pur vero, però, che fino a poco tempo fa il Romagnoli era nel più completo stato di abbandono e miseria. Adesso le cose vanno un po’ meglio anche grazie ai numerosi appelli fatti agli amministratori locali, ma l’augurio e quello di restituire a questo campo la dignità di cui ha bisogno per farlo tornare ad essere lo stesso palcoscenico sportivo di un tempo».

Per quest’anno l’iscrizione al campionato campano di serie C, ma quali sono i prossimi obiettivi del Cus Molise Rugby?
«Sicuramente come primo obiettivo fra tutti c’è la promozione della conoscenza di questo sport tra la popolazione che al momento ci vede impegnanti sotto tutti i fronti. Per quel che riguarda poi, il campionato l’obiettivo è certamente quello di riuscire ad arrivare fino alla fine a testa alta».

Se un ragazzo vuole avvicinarsi a questo sport che deve fare?
«Una cosa semplicissima. Deve venire al Cus Molise e dire “Voglio giocare a rugby”. Davvero nulla di più. D’altronde questo sport è proprio questo, una condizione mentale che fa sì che ognuno riesca a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato».

Domani 17 novembre gli azzurri del rugby hanno una prova dura da affrontare nella Capitale. Si scontreranno infatti con i mitici e conosciutissimi All Blacks, dei veri e propri mostri sacri della palla ovale. Andrai a vederli?
«Non solo andrò a vederli, ma insieme al Cus Molise abbiamo organizzato un autobus che partirà alle 9 dal parcheggio adiacente al Palaunimol nei pressi della facoltà di economia. Squadra e tifosi andranno così a fare il tifo per gli azzurri e l’emozione è davvero tanta per questo match».

Dalla voce di Cristian si capisce davvero che la trepidazione per la partita della Nazionale è la stessa che i ragazzi del Cus Molise Rugby provano ogni volta prima di entrare in campo, quando con tenacia cercano di non deludere mai i propri tifosi, davvero sempre più numerosi.

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