Cronaca dell’ennesima “piccola storia ignobile”


Dal sito nprugby.it
Una cronaca che deve essere “usata” come spunto di riflessione, per provare a capire uno dei tanti perché, in Italia, il rugby faccia così tanta difficoltà ad affermarsi (definitivamente). Collaborare tra realtà sportive affini, dovrebbe essere normale per la crescita del movimento, purtroppo, però, succede sempre meno frequentemente…
«Una piccola storia ignobile, che mi tocca raccontare. Circa un mese fa, prende forma un progetto di attività di minirugby nell’area delle Terme Euganee (Abano e Montegrotto Terme), gestita dall’associazione per cui lavoro, e in collaborazione con la squadra amatoriale che dirigo (evito di far nomi, sia di amici che di meno amici…). Distribuiamo volantini, appendiamo uno striscione, cerchiamo di far conoscere il progetto ai cittadini di due comuni dove non sono mai esistite società rugbistiche e qualcuno ci nota, iniziano le telefonate di richiesta informazioni e programmiamo le prime giornate di gioco. Perché questo vogliamo fare, programmare incontri cui far partecipare bambini interessati a GIOCARE. Con alcuni genitori interessati fissiamo una riunione, cui vengono invitati anche gli assessori dei due comuni, normalmente interessati alla nascita di una nuova realtà sul territorio. Poi cominciano i fatti strani. Arriva una telefonata da una società di rugby attiva nel comune limitrofo, la cui segretaria prima chiede “perchè fate sta cosa?” e poi pretende (e sottolineo “pretende”, termine usato dalla medesima) un incontro per capire di che si parla. Accetto, per cortesia e anche per sincero interesse a collaborare con tutti gli attori in campo. Fisso l’appuntamento per la mattina successiva all’incontro coi genitori, e saluto la signora. Arriva poi la telefonata di una mamma, che si dice interessata all’attività per il suo bimbo di 8 anni, ma il numero sul display mi ricorda qualcosa, e dopo un controllo su internet scopro che a chiamare non è una mamma, bensì una dirigente di UN’ALTRA società rugbistica, attiva anch’essa in un comune limitrofo. Richiamo, chiedo spiegazioni, e mi viene buttato il telefono in faccia. La sera della riunione, oltre ai genitori, agli assessori, e ai membri dell’associazione, si presentano, fingendosi genitori, due inviati, uno per ognuna delle società che avevano chiamato, inviati a controllare quel che succedeva. Li riconosciamo (il mondo del rugby non è poi così vasto, nemmeno a Padova), ed evitiamo di scoprire il gioco. La mattina successiva, tutti i genitori con figli che giocano nelle società coinvolte si vedono arrivare una mail con la quale si interdice l’accesso ai campi a uno di loro (allenatore della under solo per aver partecipato alla riunione di cui sopra). Io mi reco all’incontro con la società fissato in precedenza e nessuno si fa trovare, tutti si negano. Il nuovo gruppo rugbistico delle Terme Euganee non è ancora nato e già inizia il boicottaggio preventivo. In una città con un hinterland che sfiora il mezzo milione di abitanti, i lungimiranti amministratori delle società rugbistiche cittadine (5…) temono la concorrenza di una decina di appassionati e di un paio di associazioni. Il problema del rugby italiano non sta solo negli uffici della federazione, sta anche nelle club – house, nelle teste strette, nelle persone incapaci di fare rete».

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