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Visualizzazione dei post da ottobre 13, 2015

Storico, Mandela nella "Hall of Fame" del rugby

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© AP Il fondatore del nuovo Sudafrica utilizzò come strumento di riconciliazione lo sport che aveva odiato  Francesco Volpe sabato 3 ottobre 2015 16:27 INVIATO A LONDRA Nelson Mandela non amava il rugby. Anzi, a dirla tutta, lo odiava proprio. Era lo sport dei bianchi, degli oppressori. Dalla prigione di Robben Island, dove trascorse ventisette anni della sua vita, ascoltava per radio le partite degli Springboks e tifava per i loro avversari. Ma quando, nel 1992, il regime dell’apartheid implose e lui diventò il presidente del nuovo Sudafrica, ebbe l’intelligenza, la visione di capire che il rugby poteva diventare uno strumento di riconciliazione. Il destino aveva assegnato al Paese la Coppa del Mondo del 1995 e “Madiba” ne fece il cardine del processo di riavvicinamento tra neri e bianchi. “One team, one country” lo slogan ideato per quel torneo. Che resta indimenticabile per i suoi interpreti (segnò l’esplosione di Jonah Lomu) ma sopratt

Migranti, quando lo sport è simbolo di integrazione

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Dall'Africa a Milano: per Dembo e Momodou la vita rinizia in un campo da rugby. Le violenze sui barconi, l'arrivo in Italia, il riscatto: la loro storia a Lettera43.it . di Barbara Ciolli | 11 Ottobre 2015 A migliaia bussano alle porte dell'Europa. Spesso vengono percepiti come aggressori, e sballottati da uno Stato all'altro. E invece i migranti sono simili a noi, hanno sogni e obiettivi simili ai nostri, anche quando chiedono semplicemente di sopravvivere. Vorrebbero realizzare progetti di vita che nelle loro terre sono proibiti ma che qui (anche con la crisi, anche se a fatica) diventano possibili. INTEGRARSI COL PALLONE. Le telecamere li mostrano sempre salvati in mare o nei centri di raccolta dove le loro esistenze si fossilizzano nel degrado e nell’emarginazione. Non si racconta quasi mai, invece, cosa fanno i migranti e come siano utili lavorando gratis, per esempio, per i Comuni per rendere - anche loro - l’I